Il Minculpop e la propaganda

Di Chiara Fiorillo

Oggi parleremo del MinCulPop e della propaganda ad esso associata. Puoi darci una breve definizione degli oggetti di discussione? Innanzitutto con il termine “propaganda” si indica una qualsiasi azione intesa a conquistare il favore o l'adesione di un pubblico sempre più vasto mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia e sul comportamento delle masse. “MinCulPop” è un’abbreviazione usata per riferirsi al Ministero della Cultura Popolare, operante sotto il Regno d’Italia per la gestione della propaganda fascista. Arrivò a ricoprire compiti di controllo nei confronti di tutta la cultura sotto il regime.

Quando è stato creato il MinCulPop, e da chi? In realtà il Minculpop è solo l’ultima incarnazione di un organo istituito da Mussolini già nel 1922. Questo si chiamava “Ufficio Stampa della presidenza del Consiglio”. Negli anni Venti, gli scopi da raggiungere erano principalmente la creazione del mito del duce e l’affermazione dell'idea della Nuova Italia, cioè la costruzione di un'immagine fittizia di un'Italia stabile, ben ordinata e vigorosa in cui la società conduce una vita sobria e moralistica. I giornali vennero allora incoraggiati a presentare il duce come un uomo fuori dalla norma, ma che allo stesso tempo si impegna per il bene degli italiani, seguendo le linee guida impostate da giornali quali Il Popolo d’Italia. Venne rafforzato l’ideale di famiglia tradizionale, e vietata la cronaca nera.

Fra il 1933 e il 1938, il genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, seguendo il modello del Propagandaministerium di Goebbels, creò un’organizzazione che oltre alla stampa controllava il cinema, il teatro, i nuovi mezzi di comunicazione come la radio, organizzava manifestazioni all’interno e lanciava campagne di controinformazione all’estero. Il MinCulPop poteva ora far fronte alle esigenze di un regime totalitario. Il Ministero centralizzò nelle proprie mani il controllo di un grandissimo numero di enti e istituti culturali, assorbendoli o asservendoli ai suoi scopi, impedendone in ogni caso l’autonomia. Ad esempio, all’interno della Reale Accademia d’Italia, una volta integrata al MinCulPop, vennero portati avanti studi sulle civiltà primitive, i cui risultati andavano curiosamente sempre a corroborare le leggi razziali.

In cosa consistette concretamente la propaganda? Il MinCulPop lanciò diverse campagne di propaganda, che si trattasse di esaltare la romanità dell’Italia, di celebrare la grande epopea in Etiopia o di incitare all’odio razziale. Un importante ruolo fu ricoperto dall’Istituto Luce, il quale aveva come scopo dichiarato nel suo statuto quello di diffondere la cultura popolare e della istruzione generale per mezzo delle visioni cinematografiche […] distribuite a scopo di beneficenza e propaganda nazionale e patriottica. I valori e i progetti fascisti vennero trasmessi tramite manifesti, iniziative culturali, associazioni dopolavoro, film, trasmissioni radio, giornali e cinegiornali. Fondamentale fu l’impiego di simboli (saluto romano) e slogan. Alcuni di questi ultimi erano di palese ispirazione dannunziana (vivere pericolosamente, morire non è morire quando si muore per l'Italia), altri di matrice hegeliana (Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato), altri si appoggiavano sulla millenaria cultura cattolica italiana (ringrazia Dio perché ti ha fatto italiano), tutti facevano leva sui classici valori nazionalisti: dio, patria, famiglia. La ripetizione costante e inevitabile di concetti semplificati per essere a misura di massa, l’identificazione di un unico e pericolosissimo nemico esterno e la creazione di un senso di unanimità, furono tutte strategie mutuate da Goebbels e applicate egregiamente. Furono scritte canzoni celebrative (“Faccetta nera”), costruiti quartieri monumentali (EUR), se non intere città (Latina) e venne rafforzata l’unità nazionale anche dal punto di vista linguistico con la soppressione forzata dei dialetti nelle arti e nell’educazione.

La propaganda si accanì contro gli ebrei a partire dall’adeguamento di Mussolini alle leggi razziali naziste: fece leva sull’odio, già implicito nell’intera cultura europea, nei confronti di un’esigua minoranza antichissima e in realtà ben integrata nel tessuto sociale italiano. Contro gli ebrei furono rilanciate le solite accuse: sono i deicidi, incestuosi e impuri, vogliono conquistare il mondo, causano guerre, rivoluzioni e varie calamità, sono usurai, codardi, traditori, crudeli, razzisti, razzialmente inferiori, ma tengono sotto controllo l’economia mondiale. Queste accuse, tra l’altro palesemente contraddittorie, corredate con i deliri di superiorità ariana espressi nel Manifesto, vennero ripetute e variamente suffragate in maniera ossessiva tramite tutti i canali visti in precedenza. Decine di migliaia di ebrei italiani si trovarono da un giorno all’altro a vivere in un paese ostile. Eppure va detto che la propaganda antisemita non ebbe il successo sperato: “solo” il 18% degli ebrei italiani fu vittima dell’Olocausto, a fronte del 69% tedesco. Questo perché i sentimenti antiebraici sfociavano sì nelle discriminazioni sancite dal Manifesto e dalle leggi, ma persino i fascisti tendevano a non voler uccidere o consegnare i “propri” ebrei ai tedeschi. Quando l’occupazione nazista lo impose, gli italiani resistettero, formando una rete di solidarietà che salvò la vita a più di 30mila persone. Ad ogni modo, la propaganda fascista diede il meglio di sé, e fallì miseramente, durante il secondo conflitto mondiale. Per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti degli Alleati, è interessante vederne l’evoluzione. Nel primo biennio, quando ci si approcciava alla guerra con spensieratezza, gli Alleati venivano rappresentati come degli incompetenti e si lavorò per creare l’immagine dell’”Altro”, il culturalmente lontano, deriso e caricaturizzato. Per esempio gli inglesi divennero i poltroni bevi-tè dipendenti dalla tecnologia, che nulla hanno a che vedere con il forte ed energico popolo italiano. Nel 1943, l’”Altro”, da sciocco e debole che era, si trasformò in un crudele e pericoloso barbaro. Il potere del regime tramontò di pari passo con il deteriorarsi della situazione bellica, e la propaganda non resse più di fronte al volantinaggio o alle trasmissioni radiofoniche alleate, cosa che in realtà è un testamento più alla stanchezza e poca fiducia nel fascismo della popolazione, che all’efficacia della guerra psicologica. Durante l’esperienza di Salò, il MinCulPop era ormai esautorato dal potere forte nazista. Dalla liberazione, tutto ciò che rimane della sua influenza è ravvisabile nelle frasi fatte tipiche degli apologisti che 80 anni di educazione non hanno ancora completamente eradicato

Eh, ma ha fatto anche cose buone! Sì certo.

Come spunto di riflessione personale, potremmo parlare di eventuali moderni esempi di controllo culturale. Dovremmo aprire un’intera altra discussione. La cultura, intesa come insieme di valori, definizioni della realtà e codici di comportamento condivisi, esercita per sua natura una notevole pressione al conformismo. Se questa pressione sia assimilabile a una dittatura del pensiero è oggetto di discussione, soprattutto nel moderno mondo di internet. Proprio riguardo a internet, pensiamo al vespaio sollevato dal blocco di Donald Trump su molti social media. Si è trattato di censura pseudo-dittatoriale, o di ordinaria applicazione delle linee guida delle piattaforme? In generale, è lecito parlare di egemonia culturale, ossia di direzione intellettuale da parte di un establishment nei confronti della società attraverso gli invasivi e onnipresenti social media? Dove trovano posto i fenomeni della cancel culture o del politically correct? In questa sede ci limitiamo a presentare spunti di riflessione, in quanto fornire risposte sarebbe troppo lungo e difficile, dato che si tratta di questioni aperte.
Tornando al problema dell’influenza dei pochi sui molti, potremmo riflettere anche sui numerosi punti di contatto fra le tecniche propagandistiche delle dittature e quelle pubblicitarie. Resta il fatto che in un paese libero è un diritto e un dovere informarsi per essere il meno possibile vittima del “sentito dire” e il più possibile individui coscienti dotati di senso critico.

In parole povere, meglio non fidarsi. Esatto. La possibilità di documentarsi da più fonti latrici di pensieri diversi è uno dei grandi doni della democrazia: c’è da chiedersi come sarebbe potuto sopravvivere il fascismo se gli italiani degli anni ’20 ne avessero disposto liberamente.

Esempi di manifesti di propaganda fascista. Ulteriore materiale disponibile sul sito dell'Archivio Storico Istituto Luce.



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