Il Manifesto della Razza e il "delirio" legislativo

di Caterina Schiuma


La pubblicazione in data 5 agosto 1938 del famigerato Manifesto della Razza sul primo numero della rivista La difesa della razza non fu un fulmine a ciel sereno per gli italiani sotto il regime fascista: le dichiarazioni contraddittorie rilasciate da Mussolini durante gli anni della sua dittatura avevano già in qualche modo fatto emergere concetti come la "difesa della razza pura", oltre al fatto che nel 1937 era già stato emanato un decreto- legge che vietava l'unione coniugale tra soggetti di razza diversa.

Tuttavia, in linea con la complessa questione che concerne le antinomie che hanno caratterizzato il fascismo, è interessante ricordare che quest'ultimo, a differenza del nazismo tedesco, non fu un movimento antisemita fin dalla sua nascita. Infatti, se l'antisemitismo e la persecuzione degli Ebrei costituivano due dei principi fondanti dell'ideologia nazista (nel Mein Kampf Hitler formulò la tesi del "pericolo ebreo" basandosi sui documenti falsi de I protocolli dei Savi anziani di Sion), in Italia prima nel 1923 in un incontro con il Rabbino Capo di Roma, e poi nel 1932 con il giornalista ebreo Emil Ludwig, Mussolini affermava invece che "il governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita" e che "l'antisemitismo non esiste in Italia".

In questo senso, uno dei fattori che contribuì in modo più significativo allo sviluppo sistematico dell'antisemitismo in Italia furono le campagne orchestrate dalla stampa fascista e dai GUF (gruppi universitari fascisti), che desideravano adottare una politica discriminatoria sul modello hitleriano. A questa situazione si sommò il fatto che dopo la conquista dell'Etiopia nel 1936 si verificarono dei "malaugurati" incroci, i cosiddetti fenomeni di "meticciato", che portarono ad una nuova "coscienza razziale" in Italia. Infine, non c'è dubbio che questa tendenza fu crucialmente accentuata dagli incontri tra Mussolini e Hitler prima in Germania e poi in Italia nel 1938, incontri in seguito ai quali i due paesi decisero di armonizzare la loro politica interna.

Il Manifesto della Razza rappresenta quindi sia il frutto di questo tormentato percorso ideologico, sia il culmine della "maturazione" politica del regime fascista. Esso fu scritto da dieci studiosi e scienziati fascisti, sebbene Galeazzo Ciano (genero di Mussolini e Ministro degli affari esteri del tempo) scriva sul suo diario che Mussolini gli disse di averlo redatto quasi completamente lui stesso.

Questo documento è composto da dieci proposizioni che "fissano le basi del razzismo fascista": già attraverso le poche righe che precedono i punti veri e propri del manifesto il fascismo si presenta come un movimento politico apertamente razzista, aggettivo che al tempo non aveva le connotazioni negative che ha oggi, ma che rappresentava quasi un complimento, in quanto essere razzisti significava voler proteggere a tutti i costi la purissima razza italiana.

Il Manifesto si apre infatti con la lapidaria affermazione che "le razze umane esistono", concetto che viene sviluppato nei punti successivi, specificando che esistono "grandi e piccole razze" (ovvero esistono le razze umane e le più numerose razze minori, sottogruppi di una singola razza) e che "il concetto di razza è concetto puramente biologico". Quest'ultima affermazione rappresenta un'autentica novità: se il razzismo come credenza che una cultura sia superiore a quella di un altro popolo è infatti esistita sin dagli albori delle civiltà umane (erano razzisti i Romani nei confronti dei Greci e dei "barbari" germanici, così come lo erano i cristiani nei confronti dei popoli indigeni americani), il cosiddetto razzismo scientifico nasceva solo nel XVII secolo ed era basato su teorie dai vacillanti fondamenti scientifici che saranno molti anni dopo screditate dalle più recenti ricerche di genetica. Nelle affermazioni successive del Manifesto si pone l'attenzione sulla situazione italiana, sentenziando che la popolazione italiana è per la maggior parte di razza ariana con indirizzo ariano-nordico è che tale razza è purissima, considerando che "ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane".

In queste frasi perciò, oltre a riprendere dall'ideologia nazista il nebuloso concetto di "razza ariana", la cosiddetta Herrenvolk (razza superiore) che andava protetta dall'Untermensch (il popolo inferiore), con poche parole si cancella la storia dall'invasione dei Longobardi in poi, ignorando volontariamente tutte le tracce lasciate dai popoli che nei secoli successivi si sono stanziati sul suolo della penisola italica.

Dopo aver sottolineato la responsabilità di cui l'italiano deve farsi carico una volta presa consapevolezza della superiorità della sua razza (punto 7), è nel punto 9 che si introduce il discorso sugli ebrei, popolo che secondo i fascisti rimane l'unico a non essere mai stato assimilato in Italia poiché costituito da "elementi razziali non europei". Conseguenza di questa opinione è il divieto, espresso nell'ultimo punto, di unirsi e incrociarsi con razze extra-europee, al fine di preservare la purezza europea degli italiani.

E' naturale che essendo queste le premesse teorico-ideologiche delle leggi razziali promulgate tra l'autunno del '38 e i primi mesi del 44, queste ultime non potevano che presentarsi come un "delirio legislativo". Esse avevano lo scopo di difendere la razza italiana isolando e strappando gli ebrei dal tessuto sociale italiano ed erano ricalcate sulle Leggi di Norimberga applicate in Germania dal 1935.

Innanzitutto, per la legislazione fascista era definibile ebreo chi era nato da genitori ebrei, chi era nato da padre ebreo e madre straniera, chi era nato da madre ebrea e chi decideva di professarsi ebreo. Secondo i censimenti di agosto gli ebrei rappresentavano l'1,1% della popolazione italiana.

Le leggi razziali si abbatterono in primis sul settore dell'istruzione, quando il 5 settembre si decretò il divieto di ammissione di insegnanti e alunni di razza ebraica alle scuole di ogni ordine e grado.
Si può dire che questo primo provvedimento fu in grado di aprire gli occhi a molti italiani riguardo l'effettiva ingiustizia dell'operato di Mussolini proprio per il fatto che sostanzialmente andò a colpire degli innocenti, i bambini, e fece perdere il lavoro a molti studiosi di fama mondiale solamente perché di religione ebraica.

Tuttavia, questo fu solo l'inizio. Il 7 settembre fu promulgato un decreto che riguardava gli ebrei stranieri, che avrebbero dovuto lasciare il Regno d'Italia entro sei mesi da quella data. Inoltre, il governo cominciò a sottrarre agli ebrei i loro patrimoni, le case, le industrie, i terreni, svelando che uno degli obiettivi reali di questi provvedimenti era anche quello di arricchirsi, incamerando i beni ebraici nell'EGELI (Ente Gestione e Liquidazione Immobiliare), un ente creato ad hoc.

Il 17 novembre segna un'altra tappa importante in quanto con la legge di questa data furono presi provvedimenti riguardanti i matrimoni: furono resi illegali i matrimoni con persone di razze diverse da quella ariana e con persone di nazionalità straniera, sempre nella mentalità eugenetica di creare dei figli "ottimi" e puri dal punto di vista razziale.

A questi provvedimenti ne seguirono molti altri: dopo gli insegnanti furono espulsi giornalisti, notai, banchieri, oltre agli ebrei persero il lavoro indirettamente anche persone non appartenenti alla minoranza presa di mira, con conseguenze generali tutt'altro che positive.

Si dovrà aspettare fino al 20 gennaio del 1944 per l'abrogazione di queste terribili leggi, un'abrogazione graduale e molto lenta considerando che la dittatura aveva prodotto un mostro burocratico difficile da sbrogliare. Tuttavia, le conseguenze di questi provvedimenti avrebbero lasciato un segno indelebile. Anche dopo la liberazione, le migliaia di storie delle vittime delle leggi razziali sarebbero rimaste per sempre una ferita aperta nella coscienza collettiva. 

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